8 luglio 2019. Sono diversi giorni che piazza dei Cavalieri è chiusa per permettere lo svolgimento di Numeri Primi Pisa Festival, rassegna promossa dal comune di Pisa con la Fondazione Teatro Verdi. Cinque eventi per cinque giorni, mille e duecento posti a sedere. Per entrare nella piazza, però, che non può essere attraversata neanche dai residenti della zona, bisogna pagare un biglietto.
È la sera del concerto di Vinicio Capossela, evento di punta del festival, per assistere al quale è necessario pagare dai quaranta ai settanta euro. Un gruppo di duecento giovani pratica il diritto ad attraversare la città e a godere della cultura gratuitamente, oltrepassando forzosamente le transenne.
L’appuntamento era stato lanciato qualche ora prima in largo Menotti, a poche centinaia di metri dall’ingresso blindato di piazza dei Cavalieri. La serata comincia tra volantinaggi, interventi al microfono e rime rappate che segnalano l’assurdità della situazione: per entrare nella piazza in cui abitiamo, servono cinquanta euro ogni notte. Da una cassa a batteria parte la musica, arrivano i “fuocolieri” che cominciano a riscaldare l’ambiente. La gente si avvicina e il numero di persone cresce.
È il momento giusto per muoversi e andare a sfidare il divieto, tra i battiti insistenti della pizzica e le note di una tromba gitana. È un piccolo assaggio di come possa trasformarsi la città di notte, l’incubo di tutti gli amministratori locali dell’ultimo decennio: quella che loro chiamano “mala-movida” è in realtà una socialità spontanea, gratuita, di strada, che rende nel nostro caso piazza dei Cavalieri crocevia di passioni provenienti da lontano, da sud, dall’est. Sulle note di When the Saints go marching in il gruppo entra dentro la piazza, la stessa da cui il weekend precedente le idropulitrici, messe a bagnare il selciato per evitare ai ragazzi di sedersi, erano state cacciate.
Di fronte alla biglietteria altre persone non paganti provano a rapire note sparse dallo spettacolo. I pochi e confusi poliziotti e steward non riescono a difendere le transenne e il gruppo, che ormai conta almeno duecento persone, entra in piazza ad assistere gratuitamente al concerto. Un ragazzo si lancia sul palco per spiegare a Capossela e la sua band le ragioni dell’irruzione. Il concerto si interrompe per qualche secondo, una parte del pubblico pagante comincia a inveire, mentre dagli artisti in scena sembra arrivare una certa comprensione.
«Dobbiamo aprire il dibattito», dichiara Capossela dal palco, anche se il paradosso è che proprio l’assenza di una reale discussione sull’idea di città che sta venendo costruita, permetterà nei giorni successivi a questo gesto di ribellione di avere un’eco enorme. In città, nelle riviste del settore musicale, nei quotidiani, sui social.
Il centro storico di Pisa, nell’ultimo decennio, è stato trasformato in un centro commerciale a cielo aperto a uso e consumo del turismo mordi e fuggi. Se ne ha evidenza guardando come l’unico asse oggetto di “riqualificazione” sia quello che va dalla stazione centrale a Ponte di Mezzo, proseguendo da piazza Garibaldi fino a piazza dei Cavalieri, per poi arrivare alla Torre. Riqualificazione che è consistita nel rifacimento del manto stradale, nell’installazione di decine di telecamere e nell’esclusione delle persone più emarginate – attraverso il cosiddetto Daspo urbano – da quello stesso circuito che migliaia di turisti ogni giorno percorrono per andare a visitare la torre pendente.
L’ossessione per il decoro cresce di anno in anno, non basta più che la città sia pulita, deve essere sanificata, igienizzata, sterilizzata in ogni suo metro quadrato, ogni gradino di ogni chiesa deve essere inondato di acqua e detersivo per scoraggiare chiunque dal sedersi, cercare riposo, mangiare.
Il programma della giunta leghista prevede la promozione del marchio “Pisa Città della Quiete” come brand turistico. Qui sta il nodo tra la città immaginata e la città reale, quella da vendere e quella da amministrare. Le vite di chi abita il centro devono assecondare queste richieste: chi ascolta musica o si siede sui gradini porta degrado, tanto che decine sono state le ordinanze comunali fatte negli ultimi anni per criminalizzare la vita di chi vive le piazze. È in questo modo, però, che lo spazio pubblico diventa spazio di conflitto, su tutti i fronti. A tal proposito vale la pena leggere il commento che dedica la Confcommercio all’iniziativa di autoriduzione, accusando gli studenti di voler trattare la piazza “come se fosse il salotto di casa”. Curioso che queste parole vengano pronunciate da chi ha organizzato cene da cinquanta euro a persona nell’esclusiva location di Ponte di Mezzo, considerando la città forse non come salotto, ma sala da pranzo da apparecchiare all’uopo.
All’idea di una città-vetrina che ingrassa la rendita e incentiva il consumo, risponde perfettamente l’idea di perimetrare una piazza attraverso il prezzo di un biglietto: creare una linea di esclusione, tra chi può e non può vivere quello spazio. La privatizzazione dei luoghi pubblici della città, la questione della precarietà dei lavoratori dello spettacolo, la fruibilità dell’arte: i piani del discorso sono tanti e si intrecciano disegnando una città che procede a due velocità. Da un lato quella viva e vivace, con associazioni culturali, circoli e spazi che sono diventati nel tempo fucine di sperimentazione artistica e musicale (puniti da ordinanze “anti-vita”, più che anti-movida), e dall’altro quella delle chiusure, dell’esclusione, dei grandi eventi a elevato costo di accesso. Che la produzione culturale vada pagata è indubbio: ma non l’accesso alla stessa, negli spazi pubblici. Che si apra il dibattito, dunque. (collettivo exploit)
Massima simpatia per exploit e per l’iniziativa dell’8 luglio. Nell’articolo però manca qualcosa, di non poco rilievo. Raffigurare ciò che sta succedendo oggi in centro a Pisa (ma il discorso può essere replicato per tante altre città) come uno scontro “studenti vs. turistificazione” è possibile solo perchè nei decenni passati si è realizzato lo scontro “residenti vs. studentificazione”, con la sconfitta dei residenti. La vittoria ovviamente non è stata degli studenti, ma della studentificazione del centro: hanno vinto speculatori e palazzinari, che hanno potuto aumentare gli affitti per case e fondi commerciali. Se non partiamo da qui, gettiamo i residenti (che non sono scomparsi del tutto) dalla parte dell’amministrazione, fomentando la polemica sulla movida che in parte è la falsa coscienza di chi incassa i soldi degli studenti senza volerne gli effetti sociali, in parte è funzionale a far tacere le ragioni di chi cerca soluzioni per una reale e umana convivenza in centro tra residenti e studenti.