da: Levante
Un “villino” nei sogni del Municipio, un “manufatto rurale” nelle introvabili carte all’ufficio del catasto, un “ambulatorio” nella vita reale di centinaia di famiglie.
Di vessazioni da parte della politica, Tor Bella Monaca (evocata spesso come la “Scampia romana”) ne ha subite e ne subisce ancora, salvo essere collegata al centro città dal 2015 attraverso la linea della Metro C. Metro C che ha acceso i riflettori sulle possibilità di investimenti speculativi che possono essere realizzati lungo il suo tratto. Infatti, l’ambulatorio in questione si trova alle spalle della fermata Torre Gaia, e nasceva, da progetto, proprio come punto vendita biglietti della metropolitana. Naufragato come biglietteria, diventa il centro anziani I pini, e rimane tale per quasi dieci anni; dal 2009 risulta essere quello che gli abitanti di Tor Bella Monaca conoscono come l’ambulatorio dove viene curato gratuitamente chiunque, dove vengono consegnati sia vestiti che generi alimentari, dove chi ci lavora si preoccupa non solo di prescrivere o dare un farmaco, ma di creare solidarietà prima e salute subito dopo.
Oltre centomila visite effettuate negli anni di attività: il 70% degli assistiti è donna, le gravidanze seguite sono migliaia e altrettanti sono i bambini coinvolti nei programmi di sorveglianza ed educazione sanitaria. Il lavoro svolto viene concepito come servizio territoriale del Policlinico Tor Vergata grazie a un accordo stipulato dalla Regione inaspettatamente interrotto nell’estate 2017. Insomma, un’attività riconosciuta a tutti gli effetti dalle istituzioni ma soprattutto dagli abitanti di zona.
E così oggi, ottobre 2018, nella periferia est agli onori della cronaca per un sistema pervasivo di criminalità piccola e grande, il governo del cambiamento seduto negli uffici municipali, vuole davvero cambiare le cose: partendo, a quanto pare, dalla destinazione d’uso di uno stabile che, a distanza di tre anni dall’apertura della metropolitana (l’opera incompiuta più costosa d’Europa) è evidentemente aumentato di valore. Un valore tutto supposto, non certo quello catastale dove invece risulta essere registrato come manufatto rurale. Un valore che, però, sembra essere stato impropriamente assegnato da quegli uffici tecnici che hanno ricordato all’amministrazione municipale di avere un immobile a loro disposizione, ma che risulta attualmente occupato da un manipolo di persone con camice bianco e fonendoscopi, che curano gratis chi vive nel territorio da loro amministrato. Viene quindi recapitata a Medicina Solidale una lettera che, in virtù della delibera 140, redatta dal sindaco Marino nel 2015 e impugnata dal commissario Tronca per sbarazzarsi delle attività sociali che risiedono negli immobili comunali, chiede di lasciare i locali entro dieci giorni (chissà per farci cosa di più utile di un centro per la salute).
La stessa lettera era stata recapitata a luglio 2018 al Centro antiviolenza Marie Anne Erize, distante un centinaio di numeri civici dall’ambulatorio. Il Municipio VI a guida pentastellata, prescrive per quelle che considera malattie da estirpare (occupanti senza titolo, abusivi, affidamenti diretti) una terapia fatta di sfratti, legalità e una pioggia di bandi a garanzia di un rispetto asettico delle regole. E perciò, senza la minima anamnesi del territorio (afflitto piuttosto da sfruttamento della prostituzione, spaccio e criminalità) è arrivato l’ultimatum e in pochi giorni le famiglie di Tor Bella Monaca potrebbero trovarsi senza un presidio sanitario a loro accessibile. Accessibilità che dovrebbe essere garantita dal Servizio Sanitario Nazionale che, invece, sta voltando le spalle a chi non ha una residenza, a chi non ha il tempo di aspettare le liste d’attesa lunghe anni e nemmeno i soldi per l'(ingiusta) alternativa privata. A chi sta rinunciando quindi a curarsi nonostante ne abbia tutto il diritto, migrante o italiano che sia. (redazione levante)
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