Fino alla sera di domenica 10 gennaio in Toscana la scaramanzia restava d’obbligo: vi inducevano da un lato l’ulteriore rinvio decretato dal governo per cui l’annunciata riapertura (al cinquanta per cento) delle scuole superiori slittava dal 7 all’11 gennaio; dall’altro la posizione della maggior parte dei governatori regionali, che consideravano la riapertura delle scuole come marginale e opzionale nel quadro della lunga convivenza con il virus, rinviandola ulteriormente a data ormai imprecisata.
Nella ricerca di un equilibrio tra precauzioni sanitarie e disponibilità a una quota di rischio per tutelare alcune realtà sociali e soprattutto produttive, in tutti questi mesi la scuola ha pagato il prezzo più alto. Amministratori e politici, di destra come di centrosinistra, non ne fanno più mistero, dicendo apertamente che la scelta circa cosa tenere aperto e cosa tenere chiuso è dettata da calcoli di opportunità: la chiusura delle scuole è una misura facile e compensativa dei contagi messi in conto in altri comparti.
In questa situazione di strumentale contrapposizione di “diritti l’un contro l’altro armati” – diritto all’istruzione e diritto alla salute – e di “autonomia differenziata”, il risultato è stato quello di una regionalizzazione (“balcanizzazione” si sarebbe detto qualche anno fa) dell’offerta formativa. In questa situazione però, per fortuna, le proteste si sono fatte e si fanno sentire.
1. La Regione Toscana non ha emanato ordinanze ristrettive. Lunedì scorso, dopo mesi, finalmente a Firenze si vedevano circolare la mattina presto piccoli gruppi di studenti, per le strade e alle fermate dei mezzi; sul ponte di Santa Trinità, presso il liceo Machiavelli, dove insegno, già alle 7:30 iniziavano a ricomparire, con i loro zaini pesanti sulle spalle, gli alunni con le mascherine.
Il mio primo incontro è con uno studente, appoggiato alle spallette del ponte; mi saluta con il sorriso negli occhi: eppure, quando gli chiedo il nome quasi mortificata di non riconoscerlo dietro la mascherina, scopro che non appartiene nemmeno alle classi dove insegno; ma ci tiene a qualificarsi, aggiungendo classe e sezione: come a ribadire che siamo nella stessa comunità, quella che piano si ricompone insieme dopo la diaspora della DAD/ DDI, e che ha pagato e sta pagando all’emergenza un prezzo altissimo. I colleghi, che via via incrocio al bar sotto la scuola e poi all’ingresso e per le scale, appaiono straniti ma contenti, anche se vogliono quasi dissimularlo per non esagerare in ottimismo: “non sembra vero”, “speriamo duri”, sono espressioni ricorrenti. Una giornata splendida e strana: ci sentiamo tutti un po’ storditi, come quando una luce intensa colpisce occhi rimasti a lungo in penombra. Un’umanità, un mondo di relazioni, che piano piano si risveglia, prende le misure dei corpi, si riabitua, muovendosi a tentoni in uno spazio condiviso che pare ricomparire e ricomporsi da lontano.
Le regole sono rigide – distanze, permanenza nelle aule, limitazioni agli spostamenti, ricreazione in classe –, tanto che, pur in chi auspicava il rientro a scuola, non mancavano perplessità, e parecchi alunni, dopo aver letto le circolari che normano con ferrea disciplina gli assetti ai banchi e i movimenti, sono arrivati, nei giorni scorsi, a sconfortate affermazioni: “Se è così, meglio la DAD”. Ma questo accadeva prima del rientro: perché l’impressione è che il “miracolo” della vita e della realtà abbia comunque poi ripreso il sopravvento.
Lunedì i ragazzi che entrano in classe alla prima ora, riempiendo via via i banchi monoposto nuovi di zecca, sono sempre loro: allegri, chiassosi, parlano mentre accendo il computer, tanto che li devo zittire per iniziare la lezione vera e propria. In DAD non succedeva mai, c’era un silenzio raggelante dietro la trincea delle videocamere e dei microfoni spesso spenti.
Cadono le ultime riserve: la scuola è questa, pur con le mascherine, le regole, le restrizioni. Parlando con alcuni genitori nei colloqui individuali, tramite la piattaforma digitale, ho raccolto diversi commenti analoghi a questi: “Mio figlio sta male, soffre di questa situazione, non vedo l’ora torni in classe”; “Mia figlia ormai si mette la felpa sopra il pigiama”. Sappiamo che, a dispetto del ripetuto mantra “prima la salute!” i disagi psicofisici negli adolescenti sono ormai in crescita esponenziale.
2. Che la Toscana abbia parzialmente riaperto le scuole superiori è certo un segnale positivo. Insieme a servizi bibliotecari che almeno a Firenze, sia pure con forti limitazioni, hanno riaperto già nella prima metà di dicembre, alla scadenza del Dpcm del 5 novembre, fa sperare un rilancio della formazione e della cultura in una regione in cui la pandemia, se forse ha colpito meno duro che in altre sul piano dell’impatto sanitario, ha falcidiato sul piano economico, facendo collassare settori legati all’arte e al turismo – quella “monocultura del turismo” che si è affermata in troppe aree della regione. Anche la persistenza della chiusura di musei, teatri, cinema ha un impatto vistoso sul tessuto delle relazioni urbane, oltre che sulla vita concreta di tante persone.
Certo, non sono mancati politici locali che, fin dalla tarda primavera scorsa, si erano pronunciati pubblicamente e spesi, nell’ambito delle proprie competenze, per la ripresa dell’attività didattica in presenza mostrando una sensibilità ben diversa rispetto a quella di altri amministratori locali. Ma il riavvio in presenza della scuola superiore è anche il risultato di una forte mobilitazione della società civile e nella fattispecie di Priorità alla Scuola che, dalla prima manifestazione pubblica il 23 maggio, occasione che ha riempito una piazza vera e non virtuale, ha riconvertito, dopo i mesi spettrali del lockdown, pietre e palazzi della nostra città d’arte in una “polis” di cittadini.
I diritti sono un diritto, non una concessione, e, in uno stato di diritto dove non è l’imputato a sostenere l’onere della prova, spetterebbe a chi le tiene chiuse dimostrare che le scuole costituiscono pericolosi focolai: difficile sostenerlo, visti i dati degli screening finora svolti. Piuttosto sulle scuole, che hanno dovuto adattarsi a regole rigide e dispositivi draconiani di quarantene a domino, hanno pesato, lo scorso autunno, le inefficienze del sistema di tracciamento e dei trasporti, adeguati con vergognoso ritardo.
3. In Toscana continua la pressione, da parte di Priorità alla Scuola e di cittadini e cittadine che prendono sempre più consapevolezza del problema, per l’adeguamento dei mezzi di trasporto e il monitoraggio costante. In questi primi giorni di riapertura gli studenti pendolari riferiscono situazioni alquanto difformi: mezzi ben calibrati su alcune linee, purtroppo su altre ancora troppi affollamenti. Gli istituti, dal canto loro, hanno scelto modalità molto diverse per applicare la turnazione del cinquanta per cento: nel mio liceo, si alternano classi intere con cambio settimanale; in altri, la turnazione scatta un giorno sì, un giorno no; oppure tre giorni e tre giorni. Più macchinosa e inefficace la didattica “duale” con ogni classe dimezzata ogni giorno, a gruppi alterni per garantire più distanziamento.
Nel mio liceo, ma credo anche in altri istituti, l’adozione di una modalità piuttosto che di un’altra è stata calata dal dirigente, senza una discussione in seno al collegio docenti, l’organo che invece è preposto a occuparsi e decidere di questioni inerenti alla didattica. Ma fino a che punto le strategie organizzative si possono scorporare dalla loro incidenza sui modi di apprendimento dei ragazzi, sul loro bisogno di avere un ritmo e una continuità nel loro percorso? Del resto, l’emergenza ha prodotto effetti di distorsione autoritaria in molti ambiti, così anche nella gestione delle scuole, avallando un processo già precedentemente avviato.
Inoltre, il rientro tra le pareti delle aule rischia di venire interpretato dai docenti che, pur animati dalle migliori intenzioni, vivono con ansia la chiusura del quadrimestre, come l’occasione per testare davvero il livello di apprendimento dei ragazzi al di là dei feedback ricevuti da remoto, la cui attendibilità è più difficile da accertare; esigenza in sé anche legittima, ma che rischia di tradursi in una vessatoria gragnuola di prove scritte che certo non aiuta gli studenti a percepire la scuola come comunità inclusiva e accogliente, se poi questo si somma alla forte irreggimentazione imposta ai loro corpi.
Per questo alcuni di noi hanno scritto un appello ai colleghi: che si tenga conto delle priorità, dell’imperativo primario di ricreare un ambiente condiviso di apprendimento in cui consolidare conoscenze e competenze; di tener conto che i ragazzi, che già si portavano dietro l’eredità dello scorso anno, per quanto siano stati in questi mesi supportati dalle tecnologie digitali e da uno zelo profuso con generosità da molti di noi per garantire loro una continuità di apprendimento, sono stati tutti relegati ai loro luoghi, e dunque “disuguaglianze”, di appartenenza. L’auspicio che davvero la valutazione allo scrutinio abbia carattere formativo, non di sanzione, non basta; occorre far di tutto perché tale venga recepita.
Sicuramente questa scuola in presenza non è la migliore possibile, né lo era prima dello stravolgimento in cui siamo immersi dallo scorso marzo; ci sarà davvero da rimboccarsi le maniche e affrontare, uno per uno, tutti i nodi che quest’anno trascorso ha messo a nudo. Ma per farlo occorre fisicamente confrontarsi.
Lunedì 11 gennaio la prima mattinata di scuola si è conclusa con un presidio di Priorità alla Scuola Firenze sotto le finestre di prefettura e consiglio regionale: per far presente alle istituzioni la necessità di fare tutto quello che occorre per mantenere le scuole aperte in continuità, ma anche per lanciare un segnale di solidarietà a tutte i ragazzi e le ragazze delle altre regioni, per cui il rientro a scuola è rinviato di continuo. Vigiliamo perché la Toscana non torni sui suoi passi né resti un caso isolato, un esperimento lasciato da solo, pronto a essere travolto da decisioni che, in conformità a quanto abbiamo già visto nel corso di questi mesi, presuppongono che scuole superiori – per inciso, il biennio rientra nel segmento della scuola dell’obbligo, perché non lo si ricorda mai? – e università siano “sacrificabili”, e addirittura che lo possano essere le medie inferiori, le primarie, le scuole e i servizi per l’infanzia.
Intanto in alcune delle regioni dove le scuole restano chiuse studenti e studentesse stanno facendo sentire la loro voce e la loro presenza come non accadeva da anni: contiamo sia l’inizio di un nuovo protagonismo, necessario in tutto il paese.
Abbiamo rimesso piede nelle aule, si può fare. Si deve fare. (maria beatrice di castri)
Leave a Reply