“Ho dovuto chiudere la porta del corridoio. Hanno occupato la parte in fondo”. Due fratelli in un racconto di Julio Cortázar rinunciano a una parte della loro casa, occupata da una presenza indefinita. Si rassegnano a vivere nella parte restante: lei lavora a maglia, lui sfoglia collezioni di francobolli. “Stavamo bene, e a poco a poco cominciavamo a non pensare. Si può vivere senza pensare”. Poi una notte sentono altri rumori e abbandonano per sempre la casa, senza fare resistenza. “È quasi come ripetere la stessa cosa, salvo le conseguenze”.
Così nell’Arneo, un’area all’incrocio delle tre province che formano il Salento, si stanno chiudendo le porte, una dopo l’altra. Dal 1975 esiste un centro di sperimentazione automobilistica, il Nardò Technical Center, con un complesso di piste per il collaudo di auto di lusso che appartiene a Porsche e oggi copre oltre settecento ettari, ma domani ne coprirà molti di più, di cui duecento guadagnati distruggendo l’ultimo pezzo di un antico bosco mediterraneo e 351 espropriando terreni dei cittadini, tutto con il consenso della Regione Puglia e dei comuni interessati, che riconoscono in questo progetto la pubblica utilità.
LA LINEA DI MINOR RESISTENZA
Ci si abitua a vivere nella parte che resta, ci si abitua ai rumori delle piste e ci si dovrà abituare ai procedimenti coatti, alla distruzione degli ecosistemi, agli espropri, tutto per favorire il piano di sviluppo industriale del Nardò Technical Center che la Regione e i comuni di Nardò e di Porto Cesareo hanno firmato in piena estate, il 10 agosto, quando il Salento esplodeva di turisti e il consumo e l’intrattenimento monopolizzavano l’attenzione dei vacanzieri. La giunta regionale aveva dichiarato il piano di rilevante interesse pubblico a gennaio 2022, ma il giorno di Ferragosto la notizia passa in sordina sui giornali (strano caso di efficienza comunicativa mentre il resto degli uffici è in vacanza). Disboscare ed espropriare non è così immediato, visto che l’area rientra nel sito di interesse comunitario Palude del Conte-Dune di Punta Prosciutto, nella riserva naturale regionale orientata Palude del Conte e Duna costiera-Porto Cesareo. La zona è tutelata da normative stringenti, la Direttiva Habitat e la rete Natura 2000 dell’Unione europea per la salvaguardia della biodiversità. Eppure, approvando l’accordo di programma sull’ampliamento dell’impianto Porsche, la Regione non solo non ha interpellato i cittadini, ma ha ignorato i pareri negativi dei comitati Via (Valutazione di impatto ambientale) e Vinca (Valutazione di incidenza ambientale) e anche dell’Ufficio Parco del comune di Porto Cesareo.
Tutto grazie alla pubblica utilità del progetto, che è arduo scorgere leggendo gli interventi programmati. Porsche intende adeguare e migliorare le oltre venti piste e impianti esistenti, realizzare nuove piste di prova e nuovi fabbricati all’interno dell’anello già presente (lungo quasi tredici km), realizzare un centro di elisoccorso attrezzato con annesse strutture sanitarie e un centro visite polifunzionale, implementare un centro di sicurezza antincendi. Queste strutture servono a Porsche nel caso di incidenti ai piloti o al personale durante le prove, più che essere opere di beneficenza ai cittadini. I soli interventi di interesse pubblico sembrano la rinaturalizzazione e la realizzazione di itinerari ciclopedonali per lo sviluppo di flussi cicloturistici, ma oltre la patina green viene a galla che distruggere duecento ettari di un bosco secolare in un’area protetta obbliga a una compensazione. La presunta riforestazione delle aree intorno al perimetro del NTC pretende di rimpiazzare una comunità ecosistemica complessa, autonoma e autosufficiente (la stessa comunità in voga nei bandi per i borghi), con filari di alberelli che avranno bisogno di anni e acqua per crescere. Ammesso che la rinaturalizzazione non resti una chimera, bisognerà aspettare parecchi decenni prima che il beneficio ambientale possa dirsi equivalente, e la perdita per flora e fauna sarà immane e irreversibile.
QUESTO È CANCRO
Stretti vincoli ambientali non bastano più a proteggere un’area e quello del NTC costituisce un precedente pericoloso che ricopre gli interessi del singolo operatore di mercato con la melma della pubblica utilità. Ma, a furia di accadere, diventa prassi ciò che è invece crimine. Sembra di sentire Wittgenstein, “una regola non può determinare alcun modo d’agire, poiché qualsiasi modo d’agire può essere messo d’accordo con la regola”.
Per evitare lo sfacelo, a inizio novembre si è costituito il comitato custodi del bosco d’Arneo, che ha lanciato una petizione e si sta impegnando in incontri di informazione e confronto con i cittadini. Intanto dai 134 proprietari interessati dagli espropri e dai cittadini turbati dalla possibile conversione degli impianti di collaudo in strutture ricettive sono arrivate le resistenze, che la sindaca di Porto Cesareo ha placato con dei video grotteschi e azzerando tutte le deleghe alla vicesindaca a causa di divergenze sugli accordi sul NTC (l’ex vice chiedeva solo il coinvolgimento diretto dei proprietari terrieri, una strizzatina d’occhio per le prossime elezioni). Stando alle esortazioni della sindaca, i cittadini dovrebbero sentirsi privilegiati perché Porsche ha scelto di investire nei loro territori, un’occasione di sviluppo da cogliere perché avranno nuovi posti di lavoro e cinquecento ettari di “naturalità nuova e ripristinata fruibili a tutti” (come se la natura fosse qualcosa da rinnovare periodicamente come le lenzuola). Risplendono di squallore le rassicurazioni a ristoratori e affittacamere (“gli ospiti che già popolano tutto l’anno le nostre infrastrutture la sera continueranno a frequentare ristoranti e bar”) e dimostrano come l’industria turistica agisca intensivamente in assenza di politiche di sviluppo e produzione socio-culturale. Non manca la minaccia velata che i portatori di progresso possano cambiare idea e trasferire i loro introiti altrove se i salentini dovessero mostrare opposizione, secondo una spietata selezione naturale che fa soccombere i più deboli e chiede sottomissione totale all’ideologia filantrocapitalista.
“Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente”. Con Pasolini mi chiedo se ci sia ancora un chirurgo tra noi. Nardò è la terra che è costata la vita a Renata Fonte, assessore alla cultura ostinata a difendere l’area di Porto Selvaggio dalla speculazione edilizia ma uccisa nel 1984. Per l’Arneo è morto Donato Leuzzi, giovane dirigente Cgil e segretario della Camera del Lavoro di Salice Salentino, ucciso a venticinque anni nel 1950 per aver guidato il movimento dei contadini all’occupazione delle terre incolte. Esistono oggi i capipopolo che negli anni Cinquanta hanno guidato migliaia di braccianti sulle campagne dell’Arneo per protestare contro la mancata riforma agraria? Zacheo Pompilio, “combattente d’Arneo”, aveva ventotto anni nel 1950 e ricorda di essere stato definito “socialmente pericoloso, turbolento e sobillatore” perché voleva un pezzo di terra da coltivare, ma era tranquillo perché sapeva di “lottare per una cosa giusta, molto giusta”. La stessa narrazione infamante dilaga oggi, quando i giornali parlano degli “ambientalisti contro il progetto da mezzo miliardo di euro”. Come con la Tap, il primo passo è isolare l’antagonista e poi criminalizzarlo, “il ritorno di una sorta di ambientalismo militante che pareva dimenticato” (l’autore ci tiene a specificare che “molti dei componenti del comitato non sono nemmeno salentini”, come se i soli ad allarmarsi possano essere i locali). Le persone del comitato invece non si riconoscono nella battaglia di romantici ambientalisti contro il progresso per un mondo senza le auto, anzi insistono che, prima che una lotta per salvare la natura, la loro è una lotta per salvare l’uomo.
THERE IS (NO) ALTERNATIVE
Ciò che viene presentato come necessario e inevitabile non è che una contingenza, uno solo dei mondi possibili. La sequenza che comincia con 2, 4, 6, 8 non è detto che debba continuare con 10, 12, 14. Non è difficile dimostrare che i prossimi numeri potrebbero essere 2, 12, 6, oppure 8, 12, 15, o altri ancora. Sembrano sequenze anomale, ma hanno uguale diritto di esistere della sequenza dei numeri pari. Non possiamo dedurre la procedura da seguire in casi futuri osservando solo una porzione della sequenza, non possiamo introiettare gli imperativi del capitalismo a massimizzare i profitti fino a farne una tara cognitiva che fa arrendere la politica e la riduce a spartizione di fette di potere e privilegi. “Non è inevitabile tutto ciò che accade”, fa eco Antonio Neiwiller. È questa la bandiera dei contadini che vanno a occupare le terre incolte dell’Arneo tra il ’49 e il ’51. Oltre quarantamila ettari di campi, di cui più della metà di proprietà del senatore Tamborrino. I contadini spietrano, fanno le quote, lavorano, lottano “per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone” (sempre Pasolini). Le proteste saranno soffocate dalla polizia, i contadini saranno carcerati e processati, ma, racconta Vittorio Bodini, al processo porteranno fave, cicorie e piselli freschi delle terre che nei mesi di occupazione avevano coltivato.
A che serve riesumare questi fatti, si chiede qualcuno schifato dalla puzza di muffa. Non li riesumiamo, stanno già lì a interrogarci, ci mostrano che è ora di abbandonare la favola opportunistica che ci raccontiamo. All’apice del declino, possiamo forse rintracciare nel passato una riserva di energie non estinte, un senso inaudito anche se tradito. Su Google Maps gli ulivi dell’Arneo sono puntini dentro rettangoli rossastri, i terreni triangoli e trapezi tagliati da linee dritte, la pista ad anello una circonferenza sottile. L’immagine diffusa per evidenziare l’ampliamento pianificato da Porsche aggiunge dentro la circonferenza altre curve e rettilinei, roba da poco, ma basta mettere a fuoco per accorgersi che lo sfacelo è sotto gli occhi di tutti: la terra strappata al latifondo negli anni Cinquanta torna a essere feudo privato, si esce da un Medioevo per entrare in un altro, come replica Elsa Morante a Pasolini. Il profitto è diventato più importante della condizione di esseri viventi, la nostra capacità di fare ha scavalcato la capacità di prevedere gli effetti del nostro fare, ma la scommessa miope sul profitto condanna a una cesura definitiva del rapporto coevolutivo con l’ambiente.
VOI NON VI HA AMATO NESSUNO
“Sic transit gloria mundi”, si legge il 5 gennaio 1951 sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno. “L’avventura marxista dell’Arneo ha avuto termine ieri, in seguito all’atteggiamento umano ma deciso delle forze di polizia dislocate nella zona” (dove umano sottende le biciclette dei contadini sottratte e bruciate, insieme alle coperte e alle provviste per affrontare l’occupazione, il lavoro e l’inverno). I volti e le voci di chi quell’avventura l’ha vissuta dimostrano che quel giornalista aveva torto. La gloria non è passata per Cosimino di Guagnano, che aveva ventiquattro anni nel 1950 e si appuntava i pensieri con un lapis su un pezzo di carta mentre lavorava in campagna e la sera teneva comizi di ore in mezzo ai compagni braccianti. Non è passata per Vituccia di Copertino, che aveva trentaquattro anni nel 1950 e quando un carabiniere voleva sequestrare la bandiera rossa ai suoi compagni l’ha sfilata dall’asta e se l’è messa nel petto sfidando a riprenderla. Siamo noi che la facciamo passare la gloria, siamo noi che manchiamo di un petto a cui stringere la bandiera.
Tap, xylella, incendi sistematici, cementificazione spietata, monocultura turistica, parchi eolici in mare, discariche di rifiuti tossici. Sulla soglia di un’apocalisse latente in cui nulla sembra in conflitto ma la distruzione opera indisturbata nei corpi e nella terra, ci parlano di sviluppo, di progresso, ma non lasciano intravedere l’epilogo della vicenda: il consumo di suolo (la Puglia è terza in Italia per perdita di suolo nel 2022) ne causa l’impermeabilizzazione irreversibile e la desertificazione, le multinazionali energetiche sono pronte a sostituire le centrali a carbone con maxi impianti agro-fotovoltaici che, con la scusa della riconversione ecologica declinata in modo improprio e strumentale, fagociterebbero le nostre campagne. Tutelare quel che resta del bosco d’Arneo è un dovere che si inserisce in un quadro più grande e urgente per riscrivere la morte di una terra: presidiare i terreni perché rimangano a destinazione agricola (non a caso gli incendi permettono che si possa agilmente cambiarne la destinazione) e interessati da processi di agro-forestazione, contrastare il monopolio turistico perché del Salento non resti un parco tematico abbandonato, una giostra su cui non sale più nessuno. Si stanno chiudendo le porte della casa, come i fratelli del racconto di Cortázar. Non lasciamo docili che occupino la terra fino a cacciarci, non copriamo sotto le belle spiagge le macchie di sangue, non lasciamo che resti “cenere tiepida” su “terre sterili”. (chiara romano)
Leave a Reply