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26 Aprile 2024

Non solo il Beccaria. Il carcere minorile va chiuso

Paolo Bellati
(disegno di cyop&kaf)

In questi giorni media e giornali hanno messo nelle loro prime pagine la tortura e la violenza nei confronti dei giovani reclusi all’Istituto penale minorile Cesare Beccaria di Milano. Le deposizioni, le immagini interne e le intercettazioni hanno restituito storie terribili. Tredici agenti penitenziari sono stati tradotti alla Casa di Reclusione di Bollate e altri otto sono stati sospesi dal servizio. Un fatto epocale.

In rete, sui giornali, in radio e in televisione si trovano le testimonianze di tutti, del personale che al Beccaria opera, dei familiari dei detenuti, degli ex detenuti, dei pubblici ministeri che stanno conducendo le indagini, dei sindacati degli agenti penitenziari, i pareri dei giornalisti, dei sociologi e dei ricercatori che si sono occupati di carcere minorile, del capo del dipartimento per la giustizia minorile e del garante dei detenuti di Milano (che ha segnalato le torture alla procura raccogliendo le testimonianze di una psicologa, di alcuni detenuti e dei loro parenti). Emergono ogni giorno nuovi tasselli dell’inchiesta della procura, emergono con chiarezza violenza e ipocrisia di questa istituzione.

Ricerche dettagliate (vedi il rapporto annuale di Antigone) denunciano da decenni le condizioni di gravissimo disagio delle carceri italiane con puntuali analisi sugli istituti penali minorili. Numerosi reportage e approfondimenti giornalistici, alcuni dal taglio discutibile oppure passati in sordina ma comunque facilmente reperibili, restituiscono, gli scenari di coercizione, violenza e degrado, vissuti dai ragazzi reclusi in questi istituti.

Tutto questo veniva detto in modo molto chiaro ben prima dell’inchiesta della procura che oggi giustamente sta riscuotendo l’attenzione che merita (per esempio: Chi li ascolterà?). Nelle carceri italiane, negli istituti di reclusione per minori e per adulti, si sta male e i motivi sono molteplici: sovraffollamento, mancanza di personale, di educatori, di direttori e di agenti; personale abbrutito, servizi sociali oberati di lavoro, impreparati, inadeguati; strutture e servizi fatiscenti, reparti e regimi detentivi inumani, celle chiuse ventitré ore su ventiquattro; nelle carceri si soffre per abuso di psicofarmaci, mancanza di cure sanitarie; per la mancanza di attività di qualunque tipo, di socialità e umanità; nelle carceri sono rarissimi, inadeguati, inefficaci o inesistenti i percorsi di formazione e gli inserimenti lavorativi.

Sulle sofferenze, sulle violenze subite e agite, sull’autolesionismo (“teatralizzato” per sbattere in faccia il terribile dolore quotidiano per la propria condizione), si trova poca traccia in tutti i ragionamenti fatti e che si fanno; dei rapporti conflittuali e difficili con gli educatori e le educatrici, con le assistenti sociali, con gli agenti, con i compagni di detenzione, si dice nulla; sulle mancate possibilità e sulla voglia di far fronte a queste mancanze non ci si confronta; le terapie annientanti, gli scioperi della fame, le pile stilo ingoiate, i tagli sulle braccia e sullo stomaco, le risse e i pestaggi, i suicidi, sono l’indicibile.

Oggi non possiamo più dire che non sapevamo. Non possiamo più tacere, far finta di niente, minimizzare. Non possiamo non affrontare quello che, con forza e insistenza, sta emergendo.

Oggi dobbiamo dare risposte nette, chiare, alla situazione di violenza e degradazione che cronaca e magistratura stanno facendo emergere. È necessario domandarsi seriamente a cosa serve il carcere oggi in Italia. A riprodurre la violenza e la sopraffazione? Serve ai proclami e agli spauracchi della politica, serve a chi col carcere si guadagna uno stipendio o addirittura ricava profitto? Serve a fornire un’idea di sicurezza ai cittadini, a soddisfare il bisogno di vendetta? E a cosa serve un istituto penale minorile? Tutte le volte che un minorenne finisce in un carcere si materializza una sconfitta per la comunità intera, per ognuna delle istituzioni sociali che ai minori dovrebbero dedicarsi, per qualunque società che si ritiene o si definisce avanzata. È l’esistenza stessa di questi istituti di pena a convalidare questa sconfitta, giacché essi provocano e riproducono solo disagio e sofferenza.

Le carceri minorili dovrebbero chiudere perché non risolvono nessun problema, perché non hanno soluzioni. Perché questi luoghi non guariscono il male, ma anzi lo riproducono e lo amplificano.

Perché accade? La risposta è semplice, e non sembri ideologica perché è quella più azzeccata nella sua semplicità: perché il carcere fa schifo e fa ancora più schifo se è un carcere per minori.

Oggi lo dimostrano le testimonianze di tutti quelli che ci hanno avuto a che fare. Oggi possiamo dirlo con elementi circostanziati senza rischiare di essere tacciati di idealismo, estremismo o qualunque altra etichetta appiccicata da chi, senza neanche più rendersene conto, si è adeguato all’ordine formale e sostanziale che definisce come immutabili rapporti e istituzioni di una società.

Il carcere minorile non va riformato e migliorato. Il carcere minorile va chiuso. (paolo bellati)

______________________

Una parte di questo scritto è estratta dall’introduzione del libro L’ipocrisia del carcere. Dal Minorile agli Istituti per adulti, in uscita per la casa editrice Sensibili alle Foglie nel 2024.
a
Paolo Bellati è operaio sociale (così definisce il suo lavoro di operatore) e redattore de L’Almanacco de La Terra Trema. Con Sensibili alle foglie ha partecipato a diversi cantieri socioanalitici pubblicati in: Respinti sulla strada (2009), Mal di lavoro (2013), La rivolta del riso (2014), Ombre digitali sul lavoro sociale (2021).
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1 Comment

  1. palidda
    7 Maggio 2024 at 10:19

    segnalo anche questo:
    https://www.pressenza.com/it/2024/05/brutalita-e-torture-al-beccaria-il-tragico-approdo-dellattuale-drammatica-congiuntura/

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