Provetto cartongessista e pittore a L’Aquila, che paradossalmente ha avuto problemi a trovare un lavoro nella sua città, nel cantiere edile considerato il più grande d’Europa. Emigrato a sud, nella costiera amalfitana dove, caso raro anche questo, ha fatto il pescatore di alici. Poi a nord, in un paesino delle Alpi piemontesi, ma questa volta per amore, e dove sta diventando padre di una bimba che a breve nascerà. Infine la richiesta del reddito di cittadinanza, ma con qualche perplessità.
Una trama da romanzo, a saperla scrivere, quella di Tony, detto “Maceria”, quarantaquattro anni, professione cartongessista e pittore, e molto altro, praticamente un factotum. O forse la cronaca di una vita, non patinata, di uno dei tanti giovani italiani nell’era dell’incertezza e della precarietà. Quella dei mini-job, della sharing economy, delle finte partite iva, dei bassi salari che non consentono di vivere sereni.
Tony Maceria è uno pseudonimo: così lo chiamavano gli amici in tendopoli dopo il sisma del 2009, che lo incitavano a proporsi come cantante neo-melodico abruzzese, per sfruttare al meglio la ribalta mediatica del post-terremoto. Una nuova esperienza professionale da poter essere messa a curriculum, del resto. Rimasta una boutade su cui scherzare sopra.
E il fatto che il nostro interlocutore preferisca l’anonimato la dice lunga su come il mondo delle relazioni lavorative venga oggi vissuto: «Non si sa mai, meglio non essere rintracciabile su internet da un eventuale datore di lavoro, chissà come la pensa…», taglia corto.
«Ho quarantaquattro anni e ho lavorato in edilizia dall’età di venti. Il 6 aprile 2009 ero qui a L’Aquila. In tendopoli sentivo dire che al netto di questa tragedia, dei lutti, della distruzione, almeno ci sarebbe stato lavoro per i prossimi vent’anni». Un argomento che a Tony non convinceva affatto, perché chi non era del mestiere non aveva capito che la ricostruzione finanziata dallo Stato, per qualcuno non sarebbe stata certo una manna dal cielo.
«Prima del terremoto ho sempre trovato lavoro come autonomo – racconta Tony -, avevo un buon giro di clientela. Rifiniture varie, tramezzi e pitture, un camino fatto come si deve da una parte, la decorazione di fino di un salone dall’altra. Poi con la ricostruzione non c’è stato più mercato per quelli come me: sin da subito con i contributi per le case classificate “A” e “B”, con danni lievi, in migliaia hanno ristrutturato gli appartamenti, senza spendere un euro di tasca loro, affidandosi a imprese edili. Per non parlare poi della ricostruzione pesante: le case aquilane restituite chiavi in mano come nuove, non avranno bisogno di manutenzioni e lavoretti per anni…».
E così anche Tony ha deciso di cercare un lavoro in una delle tante imprese impegnate nella ricostruzione. Per prima cosa è andato al Centro per l’Impiego, curriculum in mano. Rimanendo però alquanto deluso dal risultato.
«Incredibile ma vero – racconta Tony – ma nel bel mezzo del cantiere più grande d’Europa, al Centro per l’impiego dell’Aquila non c’erano posti di lavoro in edilizia. L’unico che mi hanno proposto è stato quello da idraulico, per di più con grande esperienza, e ovviamente non ho potuto accettare perché non è quella la mia specializzazione. Ho avuto l’impressione che il Centro per l’impiego serva più che altro a fare rilevazione statistica: avendo cercato un lavoro, senza trovarlo, hanno potuto aggiungere un numeretto a quello dei disoccupati abruzzesi. Almeno le mattinate perse sono servite a qualcosa…».
Alla fine Tony il lavoro l’ha trovato in un’impresa campana, semplicemente conoscendo per caso un operaio napoletano in un bar, che gli ha spiegato che serviva urgentemente un cartongessista di esperienza, visto che quello che c’era era andato via.
«Non è stato comunque facile trovare lavoro, io non avevo nessuna raccomandazione, le imprese aquilane erano tutte al completo, forse mi sono mosso tardi, e già c’era stata la fila per ottenere un posto, gli organici erano già strutturati. Ma la questione vera è che la maggior parte delle imprese che lavorano nel cratere sismico vengono da fuori, e si portano i loro operai, dal territorio di provenienza, dove spesso c’è tanta disoccupazione».
Osservazione suffragata dai dati ufficiali di Opendata ricostruzione, il portale del Gran Sasso Science Institute: a oggi solo il 27,3 per cento delle imprese impegnate nella ricostruzione 2009 ha sede a L’Aquila, 887 sulle 3.248 totali. Delle aziende di fuori, per la precisione, 925 provengono da altri territori abruzzesi, 241 hanno sede nel Lazio, 55 in Umbria, 50 nelle Marche, 43 in Campania, 25 in Veneto e 18 in Molise.
«Secondo me non è giusto – commenta Tony –, una quota di posti di lavoro doveva essere riservata a lavoratori residenti, per non farli scappare via, per dargli una ragione in più per restare a vivere in una città fantasma. Per questa ragione del resto è stata istituita una zona franca, sono stati spesi soldi pubblici per incentivare la riapertura delle attività commerciali in centro storico, sono stati finanziati tanti progetti. Inoltre, se sei dell’Aquila, e vivi qui, tutti i soldi li spendi nella tua città. Mentre le maestranze che vengono da fuori qui spendono pochissimo, non escono mai la sera, e il fine settimana tornano a casa, come è giusto che sia. Ho provato a spiegare questo problema anche in un’assemblea dei comitati cittadini, a cui ero andato appositamente. Uno mi ha risposto che sarebbe incostituzionale, riservare una quota del lavoro agli aquilani, un altro mi ha dato sostanzialmente del razzista…».
Terminato il cantiere, con la difficolta a trovare subito un altro posto, Tony ha deciso di emigrare. Eccezionalmente al sud, nella costiera amalfitana, per di più a fare il pescatore, professione alquanto insolita per un abruzzese montanaro.
«Sempre tramite amicizie e incontri casuali ho trovato lavoro prima in un ristorante sulla costiera, poi come bagnino, alla fine mi hanno preso a fare il pescatore di alici. Una vita dura, ma è stata una bella esperienza, a ripensarci. Ci si imbarcava alle sette della sera e si tornava alle cinque del mattino. Però poi spesso dovevo anche fare la manutenzione della barca alle nove del mattino, dopo poche ore di sonno. A essere sincero, non è che ero un gran pescatore. Ma comunque mi facevano solo trasportare e accatastare le cassette, e sciogliere i nodi delle reti, visto che a farli non ero capace. Qualcuno ogni tanto mi sfotteva pure, soprattutto i ragazzini, ma io gli rispondevo: “Voi sarete pure lupi di mare, ma io sono uno squalo di montagna!”. E alla fine non immaginavo che tra pesciaroli e montanari, si potesse andare così d’accordo, qualcosa in comune evidentemente l’abbiamo».
Terminata questa esperienza, Tony è tornato a L’Aquila. Non ha trovato lavori che facessero al caso suo, e ha deciso ancora una volta di emigrare, questa volta a nord, in un paesino non lontano da Ivrea, sulle Alpi, per raggiungere una donna di cui si è innamorato, e con cui sta ora avendo una bambina.
«Qui si sta bene, il paesaggio è più o meno quello dell’Abruzzo, le montagne si rassomigliano tutte. Oddio, con qualche differenza: qui per esempio la transumanza la fanno con le mucche, non con le pecore. Gli arrosticini quelli buoni glieli ho fatti conoscere io, e pure la coratella».
Tony si è messo a fare il giardiniere, e il boscaiolo. Poi ha deciso di fare domanda per il reddito di cittadinanza, che gli è stata approvata poche settimane fa.
«Al nostro nucleo familiare hanno riconosciuto solo duecento euro al mese, in base ai redditi dichiarati l’anno precedente. E ovviamente ci fai poco o nulla, non sarà possibile nemmeno accettare lavoretti in nero, visto che rischi sei anni di galera, se ti scoprono. Ma l’ho fatto soprattutto perché spero di trovare in questo modo un lavoro stabile e con uno stipendio accettabile, visto che le aziende che assumono un percettore del reddito, godranno di forti gravi fiscali. Speriamo bene».
Spiega poi Tony: «Qui mi raccontano come fosse l’età dell’oro di quando c’erano le fabbriche di Adriano Olivetti, che davano lavoro a tutti, e dove agli operai gli compravano pure la casa, gli pagavano l’asilo per i figli. Un altro mondo, ora anche qui c’è disoccupazione, ci sono tanti lavori malpagati e dove vieni spremuto come un limone. Anche qui non sarà facile trovare un’occupazione dignitosa. Ma comunque vuoi sapere qual è la verità?».
«Si – risponde il cronista –, qual è la verità?».
«Sto per diventare padre, e questa per me è la più grande gioia, Certo, d’ora in avanti avrò la responsabilità di non far mai mancare nulla alla nostra bambina, ma vedrò il mondo con occhi nuovi, e non avrò paura di nulla, come uno squalo di montagna, appunto».
Ultima domanda, quasi una supplica: «Perché non ci consenti di scrivere il tuo nome e cognome in questo articolo?».
«No, ripeto, al giorno d’oggi per noi precari e factotum, essere invisibili è un vantaggio». (filippo tronca)
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