“Centocinquantamila opere d’arte, duemila anni di storia, quattro musei. Ventotto esuberi. Lasciati sorprendere”. Il sito della Fondazione Torino Musei promette sorprese che di certo non si sono fatte attendere per i ventotto dipendenti che il 18 dicembre scorso hanno appreso a mezzo stampa di una procedura di licenziamento collettivo avviata a loro carico. Si tratta dei lavoratori del Borgo Medievale, del Museo della Resistenza, della Fototeca e biblioteca d’arte (che comprende anche l’archivio storico dei musei civici torinesi) della GAM-Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, in quest’ultimo caso con annessa chiusura.
Per ovviare al taglio di un milione e trecentomila euro della Città di Torino e in attesa di un progetto complessivo di lunga durata da parte della stessa, il 9 gennaio la Regione Piemonte decide di stanziare un contributo “una tantum” di trecentocinquantamila euro per garantire l’apertura della biblioteca e della fototeca, una somma che però assicura la mera sopravvivenza del servizio e non offre margini per effettuare nuove acquisizioni.
Dal 2002 la Fondazione Torino Musei è lo strumento operativo della città per quanto concerne la gestione dei quattro musei civici e dei rispettivi patrimoni. Parole d’ordine: innovazione e accessibilità. E sin qui nulla di strano se non fosse che per la seconda volta nell’arco di poco meno di due anni la Fondazione decide di privarsi, in parte o del tutto, della propria biblioteca. Si tratta di una delle biblioteche di settore meglio fornite in Italia, punto di riferimento per generazioni di storici, specializzata in storia dell’arte antica, moderna e contemporanea, in critica d’arte, museologia, archeologia, etnografia e numismatica.
Già nel 2015, sotto la precedente amministrazione PD, e anche in quel caso a seguito di analoghi tagli, era stata avviata una drastica riduzione dell’orario d’apertura a soli due giorni settimanali, cui era seguita una mobilitazione da parte degli studenti di storia dell’arte con tanto di convegno (gli atti sono editi da Treccani e disponibili in ebook). Il tutto si era “risolto” con il mantenimento dell’orario normale ma con il dimezzamento del personale da sei a tre dipendenti. C’è da dire che la biblioteca della GAM si sviluppa su due livelli, uno con un deposito librario di circa duecentocinquanta metri quadrati e l’altro aperto al pubblico, cosa che può rendere la gestione delle richieste e del servizio di reference decisamente complicato in assenza anche solo di un dipendente per ferie o malattia. A distanza di un paio d’anni, si torna a parlare della biblioteca e della fototeca proponendone nientemeno che la chiusura con il licenziamento del personale impiegato. Il tutto condito dall’approssimazione a cui l’amministrazione M5S ha abituato i cittadini e che, non solo avvia come se nulla fosse una procedura di licenziamento collettivo, ma neppure si premura di comunicarlo ai sindacati.
Intanto, mentre nelle pensiline di mezza città ci si imbatte nei manifesti che pubblicizzano il riallestimento della GAM, anche in questo caso petizioni, proteste e mobilitazioni non si sono fatte attendere, considerando che la posta in gioco è decisamente più alta. Fondamentale è stato ancora il coinvolgimento degli studenti, tanto fastidiosi da ricevere una chiamata al confronto, ma a porte chiuse, dall’assessora alla cultura Francesca Leon. Invito rispedito al mittente, visto che la questione è parsa di pubblico interesse.
Per quanto riguarda il patrimonio librario inoltre, è stata prospettata (sempre da parte dell’assessorato alla cultura della città) la possibilità di un trasferimento dell’intero fondo presso l’Università di Torino o la Biblioteca Nazionale Universitaria, la prima ancora alle prese con le operazioni di bonifica da amianto, la seconda carente di spazi adatti ad accogliere circa centoquarantamila volumi. In quest’ultimo caso, sembra sfuggire la differenza tra un istituto depositario come la Biblioteca Nazionale, che vive del deposito legale, e una biblioteca di settore come quella della GAM che invece si giova di donazioni e acquisizioni internazionali (basti pensare anche solo ai cataloghi delle mostre che arrivano dai musei di tutto il mondo). Insomma, il trasferimento dell’ingombrante “pacco” avrebbe comportato un suo congelamento al 2017 e la conseguente riduzione ad archivio storico in comodato d’uso, senza considerare poi la gravosità dell’operazione.
Detto questo, chi glielo spiega che il museo non è solo un posto dove si fanno le mostre, ma anche un istituto preposto alla conservazione e allo studio? E che senza le biblioteche d’arte non si cantano mostre? Quelle vere si intende, con le didascalie e i cataloghi seri e i testi con le note al fondo, queste sconosciute. Ci ha provato la direttrice della GAM, Carolyn Christov-Bakargiev, durante la conferenza stampa per l’inaugurazione del nuovo allestimento, quando ha sottolineato che lo stesso non sarebbe stato possibile senza la biblioteca. Del resto già nel 2015 la raccomandazione inviata da ICOM-Italia (International Council Of Museums) proprio alla Fondazione Torino Musei riportava quanto segue: “La storia dei musei è intimamente connessa a quella della nascita di biblioteche specializzate, come strumento quotidiano di verifica, aggiornamento e sviluppo delle conoscenze. La biblioteca dei musei civici di Torino è parte integrante del sistema museale della città e custodisce il più ricco patrimonio di libri d’arte dell’Italia settentrionale”.
Quello che non è chiaro, e che non è mai stato esplicitato da parte dei vertici della Fondazione, è se prima di procedere all’estrema ratio di chiudere e di licenziare ventotto persone, sia stata fatta una valutazione sugli sprechi e le sperequazioni interne. Valutazione che dovrebbe toccare tutti gli ambiti dei quattro musei per capire quali siano effettivamente le aree più o meno efficienti, così da ripartire i tagli su diverse aree di attività. Sul sito della Fondazione alla voce “bilanci” non c’è (ancora) traccia di documenti o report di attività relative all’anno 2017. E questo la dice lunga sulla trasparenza e la capacità di auto-valutazione della Fondazione.
Intanto per il 16 gennaio erano attesi chiarimenti sul ricollocamento degli altri dipendenti – quelli del Museo Diffuso della Resistenza e del Borgo Medievale, per il quale tra l’altro è stata ipotizzata ma non ancora confermata la trasformazione in parco tematico (sic!) – presso altri uffici del comune o delle sue partecipate. Ma a oggi nessun chiarimento è arrivato né da parte della sindaca Chiara Appendino, assente (ingiustificata) il 16, né dei suoi consiglieri, presenti ma senza risposte. Nel frattempo il segretario generale della Fondazione Cristian Valsecchi ha fatto in tempo a dimettersi, mentre il 30 gennaio la Regione ha illustrato una nuova proposta per riassorbire parte degli esuberi impegnandosi con risorse aggiuntive. Certo è che, pur volendo ipotizzare una continuità di stanziamento (non dovuto) da parte della Regione, e prendendo in considerazione anche la possibilità di un ampliamento della Fondazione su scala regionale, la mancanza di una gestione responsabile continuerà a pesare come una spada di Damocle sul futuro delle collezioni civiche. (annalisa pellino)
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