“Le automobili che vediamo su strada al novanta per cento sono passate a Nardò”, afferma un pilota tester del Nardò Technical Center durante l’inchiesta di Report. NTC è un complesso di piste di collaudo di proprietà del gruppo Porsche, con un’area di settecento ettari, un circuito ad anello lungo quasi tredici km, venti piste e impianti prova, per il quale passano le auto di tutte le marche e di tutte le gamme, non solo le Porsche (il grigio dell’asfalto del circuito ha ispirato la Ferrari grigio Nardò). All’interno dell’anello resiste (inaccessibile alla collettività) il bosco d’Arneo, ultimo pezzo di un bosco mediterraneo secolare, sito di interesse comunitario che rientra nella riserva naturale Palude del Conte e Duna costiera, con specie protette e habitat prioritari della rete Natura 2000, tutelati anche dalla Direttiva Habitat dell’Unione Europea per la salvaguardia della biodiversità.
LA QUADRATURA DEL CERCHIO
Lo scorso agosto viene a galla che Porsche ha presentato un piano di sviluppo industriale che prevede nuovi tracciati e fabbricati, ma per fare spazio all’ampliamento del circuito NTC bisogna abbattere duecento ettari di bosco, oltre a espropriare 351 ettari di terreni dei cittadini. A seguito della valutazione d’incidenza ambientale, l’intervento richiesto da Porsche riceve da diversi enti drastici pareri negativi, eppure la Regione Puglia e i comuni di Porto Cesareo e di Nardò firmano l’accordo di programma per la realizzazione del progetto. Spuntano “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”, connessi alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica, necessari per aggirare i vincoli che proteggono l’area senza ricorrere al parere della Commissione europea. Le carte parlano di un elisoccorso attrezzato con eliporto e annesse strutture sanitarie, di un centro sicurezza antincendi, di opere di rinaturalizzazione e forestazione naturalistica (misure compensative per la distruzione del bosco).
“L’uomo è l’oggetto più sordo e cieco dell’universo, e si piega a questo punto la sua necessità di considerare il luogo dove vive, la Terra, un oggetto meccanico, a lui pienamente soggetto, di cui egli conosce tutti i segreti e dispone di tutti i comandi”, scrive Anna Maria Ortese in Le Piccole Persone. Sordi e ciechi i sindaci di Porto Cesareo e Nardò, che scappano dalle interviste di Report (in onda su Rai 3 lo scorso 4 febbraio) e non rilasciano dichiarazioni.
Basta allargare lo sguardo oltre l’anello perfetto per capire che non c’è alcuna pubblica utilità né importanza prioritaria e che “il potere agita specchietti green per le allodole mentre distrugge verde vero a ciclo continuo, preparando il terreno per nuove colate di cemento e asfalto”. Se ne accorge il consigliere regionale Casili che richiede un’audizione durante la seduta della commissione consiliare il 30 novembre a Bari. Se ne accorge l’europarlamentare Rosa D’Amato, che sottopone un’interrogazione all’Unione Europea e se ne accorge il commissario europeo per l’ambiente Sinkevičius che evidenzia, a nome della Commissione europea, la necessità di ulteriori chiarimenti riguardo il progetto e il suo presunto “rilevante interesse pubblico”, promettendo che “contatterà le autorità italiane”. Se ne accorgono il Gruppo di intervento giuridico, Italia Nostra e il comitato custodi del bosco d’Arneo che il 22 gennaio hanno depositato un ricorso al Tar Puglia e ne hanno presentato i contenuti in una conferenza stampa il 6 febbraio a Lecce.
POR(S)CHE FIGURE
Il centro medico con elisoccorso di Porsche dovrebbe essere integrato nel sistema sanitario della Regione (che si farebbe carico di equipaggio, velivoli e personale medico) e garantirebbe la rapida connessione con gli ospedali di Lecce e Brindisi. Peccato che questi ospedali siano entrambi sprovvisti di piste di atterraggio e che la Puglia sia in piano di rientro con drastiche riduzioni di prestazioni e servizi ai cittadini. Il presidente Emiliano ammette impacciato a Report che “Lecce e Nardò sono vicinissimi, quindi sarebbe assurdo andarci con l’elicottero”. In più, pochi km più a sud ci sono altre due elisuperfici inutilizzate (a Melendugno e Supersano), per cui la Regione (meglio, i pugliesi) paga regolarmente Alidaunia per la manutenzione (ritorna il titolo di Bodini, L’aeroplano fa la guerra ai contadini: il suo aeroplano serviva a controllare i movimenti dei contadini che occupavano le terre incolte e soffocarne le rivolte, stavolta l’elicottero serve a camuffare lo scempio in atto). A leggere bene, questo hub sanitario di emergenza resterebbe chiuso al pubblico, accessibile solo alle ambulanze del 118.
Veniamo alla sicurezza pubblica: Porsche metterebbe a disposizione della collettività il servizio antincendio che utilizza per il proprio circuito. Questo sarebbe particolarmente vantaggioso visti i roghi dilaganti nelle campagne salentine durante l’estate, che costringono vigili del fuoco e Protezione civile a chiedere l’aiuto di unità aree fuori regione. Infatti Emiliano si esalta: “Abbiamo così risolto rapidamente due problemi altrimenti irrisolvibili e favorito investimenti industriali per quattrocento milioni di euro, mi pare un bilancio positivo”. Il prezzo da pagare per ottenere assistenza sanitaria e sicurezza sul territorio resta il disboscamento di oltre 400 mila metri quadri di foresta di leccio, oltre settantamila metri quadri di habitat con steppa e oltre 165 ettari di altre superfici boscate. Fermo restando che sia la pista di elisoccorso sia il presidio antincendi possono essere realizzati in ogni caso in aree senza habitat di interesse comunitario prioritario.
In una mappa del 1808 nell’Atlante geografico del Regno di Napoli risaltano le “folte Macchie dell’Arneo”, di cui il bosco minacciato da Porsche è l’ultimo brandello superstite. Dalle mappe di oggi Porsche vorrebbe fare taglia-incolla di quell’ultimo pezzo sopravvissuto alla cementificazione e desertificazione, piantando nei terreni espropriati dodici specie vegetali contro le quattrocentoventi attestate nel bosco secolare. È evidente che poche specie di piante giovani e bisognose di acqua e cure non possono rimpiazzare una comunità ecosistemica complessa e autosufficiente. Inoltre, il progetto prevede che la costruzione delle nuove piste avvenga prima che le piantine messe a dimora per la presunta compensazione siano adeguatamente cresciute, ma questo è in conflitto con le linee guida per la valutazione di incidenza, che stabiliscono di anticipare l’intervento di ricostituzione vegetale per non provocare scompenso di ecosistema.
Siamo di fronte a una subdola operazione di greenwashing: le opere di riforestazione sono spacciate per “conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente”, utili alla “valorizzazione paesaggistica ed ecologica del territorio”, ma sono solo compensazioni per bilanciare il massacro ambientale generato dal progetto stesso (“non scambiate la vostra primogenitura per un piatto di lenticchie”, ripeteva qualcuno dal palco della Notte della Taranta 2004). D’altra parte, se quello che comuni e Regione auspicano è un’opera di riforestazione, questa è fattibile senza bisogno di sacrificare gli ettari di bosco e le specie animali che lo abitano. Di nuovo, Regione e comuni sono sordi e ciechi, e già potevamo presentirlo, se a maggio 2023, pochi giorni dopo la deliberazione con cui la giunta regionale motivava (in sordina) la “pubblica utilità” del progetto, la stampa parlava di “surplus di documentazione per comprendere l’impatto che i cantieri avrebbero sul territorio salentino”, riferendosi a documenti essenziali e obbligatori per le normative comunitarie. “Segavano i rami sui quali erano seduti e si scambiavano a gran voce la loro esperienza di come segare più in fretta, e precipitarono con uno schianto, e quelli che li videro scossero la testa segando e continuarono a segare”, denunciava Brecht.
La stessa Porsche che deturpa indisturbata l’ultimo lembo di un bosco antico era premurosa nel 2008 quando inaugurava una pista denominando le curve con gli antichi nomi del territorio salentino: Castrum, Hydruntum, Apulia, Egnatia, Messapia, Neretum (strategia di marketing comune a varie società responsabili dello scempio nel Salento, penso alle pale eoliche al largo della costa tra Otranto e Castro, dove per il progetto Odra Energia si sceglie un “nome di origine messapica, in omaggio alla storia e alla geografia locale”).
LA RESISTENZA SILENZIOSA
Da novembre a oggi, il comitato custodi del bosco d’Arneo organizza costantemente assemblee e incontri informativi sul territorio, ha avviato un raccolta fondi e lanciato una petizione, raccogliendo oltre quarantamila firme in tre mesi. L’approccio del comitato resta focalizzato sulla bellezza, sul bosco, con iniziative che provano a sensibilizzare i cittadini e ad avvicinarli all’impegno. “Foresta in festa” è stato il nome dell’edizione 2024 del carnevale popolare di Lecce, pensando alla foresta come luogo di coesistenza delle diversità, un paradigma resistente contro la crescente omologazione, perché “di guerrieri indifesi ha bisogno il mondo, di sacra ira, di occhi spalancati” (Chandra Candiani).
Oltre a denunciare il danno ambientale in un’area protetta e la perdita irreversibile di biodiversità, il ricorso al Tar promosso dal comitato insieme a Grig e Italia Nostra fa leva su altri due punti per ottenere la sospensione della delibera e del decreto con cui la Puglia approva l’accordo di programma con NTC. Il primo, la mancata valutazione delle alternative: dimostrare nel dettaglio l’assenza di alternative è requisito obbligatorio quando si interviene su un habitat prioritario e si riceva valutazione di incidenza ambientale negativa. Invece finora l’ipotesi di realizzare i nuovi impianti sui terreni vicini a NTC senza pregiudicare gli habitat è stata liquidata da Porsche con argomentazioni astratte, nonostante all’interno dell’anello ci siano ampie zone pianeggianti e prive di vincoli ambientali. Il secondo punto del ricorso è il mancato dibattito pubblico, che è obbligatorio per opere di rilievo pubblico con investimenti superiori a cinquanta milioni (qui Porsche ne investe quattrocentocinquanta). Invece la gente ne ha saputo qualcosa solo dopo l’avvio della procedura di esproprio. Partecipazione e trasparenza sono venute meno anche a pochi giorni dal sopralluogo della deputata europea Rosa D’Amato agli impianti NTC. Appellandosi al proprio protocollo per le visite, Porsche nega l’accesso a un botanico, a un esperto giurista ambientale e ai consiglieri di minoranza di Porto Cesareo (comune in subbuglio da quando per le vicende NTC la sindaca ha disarcionato prima la vice e poi l’assessore all’urbanistica). Ora, più che una battaglia legale si prospetta una partita a scacchi: si attende il pronunciamento dei giudici riguardo la legittimità della procedura autorizzativa del piano di sviluppo, si attende la prossima mossa di Porsche che dovrebbe avviare i lavori entro fine maggio (pena la decadenza dell’accordo), si attende che la Commissione europea faccia gli accertamenti che ha promesso.
ALTERNATIVE INFERNALI
Parlare con le persone di Porto Cesareo e di Nardò, leggere i commenti che affollano le pagine social dei politici e delle associazioni ambientaliste mi spalanca davanti agli occhi i meccanismi con cui l’ideologia capitalista soffoca il dissenso. Il largo consenso al piano Porsche si regge sul ricatto: mezzo miliardo di euro investiti, “opportunità di lavoro, benefici alla comunità e al territorio, impatti positivi sull’economia”, alberghi, ristoranti e negozi aperti solo grazie a tecnici e ingegneri da ogni parte del mondo (“l’inverno, se non ci fosse la pista, Porto Cesareo dovrebbe chiudere”, dice un cittadino). Anche i politici non hanno scrupoli nell’alimentare il ricatto: ogni tentativo di frenare il progetto di NTC è uno “schiaffo al territorio e alla comunità cesarina”, alle “tante attività che d’inverno farebbero la fame”, i proprietari che si oppongono agli espropri vogliono solo far aumentare il prezzo dei terreni. In ogni discorso incombe la minaccia (irreale) che Porsche possa chiudere la pista in caso di mancato ampliamento. Ma perché i posti di lavoro fanno scandalo mentre gli effetti disastrosi sull’ambiente e sulla salute dei cittadini no? “Qui non vorrei morire dove vivere mi tocca”, dice un verso di Bodini.
La colpa della mancata destagionalizzazione dei flussi turistici sta nella gestione che ne fanno Regione e comuni, non può essere un mecenate privato l’unica ancora di salvataggio. Tra l’altro, tra gli edifici di nuova costruzione ci sono mense e working cube, che farebbero dei circuiti una cittadella autosufficiente, fatto che ha allertato gli imprenditori salentini preoccupati che questi si trasformino in strutture ricettive a disposizione dei clienti, con perdite disastrose per le attività locali. Peggio ancora, pare che la gente si sia dimenticata delle vicende sindacali dei pochi salentini che lavorano per Porsche, sottopagati e minacciati di licenziamento: collaudatori e operai in presidio permanente davanti ai cancelli dell’azienda e in sciopero della fame, costretti per vent’anni a condizioni di lavoro precarie. Ancora, la Regione minaccia che senza la presenza di Porsche ci sarebbe un “aumento del rischio di compromissione degli habitat”. Detto senza giri di parole: se accetti il piano di sviluppo il bosco lo tagliano, se non accetti il bosco è compromesso, quindi meglio sradicare gli alberi invece che proteggerli dagli incendi.
Il bivio è tra obbedienza e apocalisse, ogni alternativa è infernale, gli assetti del potere sembrano inevitabili, il salmo del there is no alternative ritorna. Natura o profitto, salute o lavoro (a Taranto dicono “o muori di fame o muori di fatica”): questo dualismo irresolubile inibisce il pensiero critico e il dibattito, non solo spacca la comunità, ma scinde gli individui lasciandoli spaesati (humus perfetto per far attecchire dottrine imposte dall’alto) e privati della capacità di reagire, di creare connessioni, di costruire una lotta. Diventa impossibile parlare perché qualunque obiezione ricade nell’altra fazione, e cos’è questa paralisi se non possessione collettiva, stregoneria capitalista? Questi dualismi irresolubili mi fanno pensare agli intuizionisti, che credono in una logica che rigetta il principio del terzo escluso (tertium non datur). Un intuizionista non può affermare a priori che se una proposizione è vera allora non lo è il suo contrario (cosa che ci sembra ovvia). Ma in un sistema logico in cui c’è spazio per la contraddizione sono vere tutte le affermazioni e tutte le loro negazioni, lo dice il principio di esplosione (ex falso quodlibet). Soprattutto, la logica intuizionista non accetta la dimostrazione per assurdo, che è invece l’impalcatura su cui si reggono le dimostrazioni di celebri teoremi matematici.
Per questo serve un contro-sortilegio, serve sviluppare mezzi di difesa per sfuggire al condizionamento del pensiero. “Noi siamo costretti a procedere sotto un cielo ideologico buio […]; ma questa poca luce superstite, che aleggia attorno a noi, ci consente almeno di vedere dove posare i piedi per camminare. […] finché sussiste un’ostinata volontà di capire e di far sapere quello che si è capito, forse non c’è del tutto da disperare”, parole di Ignazio Silone in La scelta dei compagni. Non basta opporre buone argomentazioni critiche, serve aprire processi e spazi collettivi dove restituire a ciascuno il diritto di pensare, non essere convinto né sedotto, non vittima né spettatore, serve creare nuovi modi di vedere e nuove (per quanto fragili) alleanze. (chiara romano)
Non può volere questo il mondo
neppure qui, in questa
periferia infinita. E se non è la sola
nostra tristezza, tutto fa che sia
questo paese come non dovrebbe,
da sé alieno e vi paia fuori posto
ogni cosa.
(Vittorio Bodini)
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