CONTROSPIONAGGIO. SULL’ASCESA E LA CADUTA DI VIKTOR GAPLINSKY, BROKER
Luca Negri
Coconino Press, 130 pagine, 16 euro
Il nuovo libro a fumetti di Luca Negri (classe 1993, al suo secondo lavoro dopo quello pubblicato qualche anno fa con Progetto Stigma) comincia con un interrogatorio da parte della Cia a un uomo incappucciato. Di lui si sa soltanto il nome, Viktor Gaplinsky, il resto della sua vita è un mistero, come il perché della sua firma su uno strano contratto che attesta accordi commerciali tra gli Usa e la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. Il suo nome compare una prima volta in relazione con un attentato di matrice anarchica a Wall Street nel 1920, per poi riapparire molti anni dopo sul quel maledetto contratto. In mezzo il nulla. Tutto da ricostruire. La vita del giovane Gaplinsky si fonde con quella di Matheus Syroka, altro misterioso personaggio, in una spy-story dal montaggio cinematografico.
Il tratto è nervoso, veloce, la scala di grigi ricorda il bellissimo bianco e nero dei film di una volta. Leggendo le prime pagine, la mente collega subito questo strano personaggio a tutti quegli uomini che hanno fatto del mistero, della sottrazione, della scomparsa la propria ragione di vita. Penso a Thomas Pynchon, scrittore americano di cui non si conosce il volto, autore di romanzi intricati a cui Negri è stato subito accostato per il suo modo di raccontare. Penso a Robert Walser, che dopo una vita come poeta e romanziere, fu internato in manicomio e dove non riuscì più a scrivere una riga, cercando di scomparire lentamente e senza clamore. Ma penso soprattutto a quel maestro dell’arte della scomparsa e dell’anonimato che risponde al nome di B. Traven. Scrittore di libri memorabili ambientati nel deserto del Messico tra peones ribelli e capitalisti crudeli, sfuggente, restio alle interviste, della sua identità, come della sua nazionalità, non si sa ancora nulla. Tante le supposizioni, le fantasie: c’è chi ha scomodato persino Jack London, ma forse la tesi più accreditata è che sia in realtà lo scrittore-attore anarchico tedesco Ret Marut, scappato in America in seguito al rovesciamento della Repubblica Socialista di Baviera. “Io non sono un contemporaneo”, una frase scritta da Marut che racchiude tutto il suo modo di intendere la vita e l’arte lontano dai riflettori. Un continuo nascondersi, rifuggire simile a quello del protagonista (o protagonisti?) di questo libro.
Quando chiedo a Negri, in una chiacchierata glaciale (come lo sono i suoi personaggi) dietro lo schermo di un computer, se trova assonanze con questi scrittori mi risponde di no, che forse c’è qualche angolo della sua mente in cui si è annidato il discorso di Bob Dylan sul non realizzare mai nulla, ma le cose che più l’hanno spinto a scrivere sono stati L’arcobaleno della gravità di Pynchon e Il loto blu, un episodio della serie Tintin di Hergè. Continua Negri: “Entrambi i lavori mi hanno letteralmente riempito di voglia di raccontare un certo tipo di storia. Sono partito da un’atmosfera spionistica-noir; man mano che la esploravo è affiorata la questione dell’identità incerta, dovuta forse al fatto che amo i protagonisti che sono in balia degli eventi, trascinati loro malgrado in situazioni complicate. Tutti i personaggi vengono scambiati per altri, hanno ricordi sfalsati, identità segrete”.
Mentre mi riprometto di recuperare Il loto blu di Hergè (ho sempre avuto un problema con quel sapientone di Tintin), faccio notare a Negri che forse ogni personaggio di fantasia è una combinazione di varie personalità, epoche e gli chiedo se c’è qualcosa di autobiografico nel suo fumetto. “Molte frasi sono parole che ho detto a qualcuno o che mi sono state dette; rubo molto dalle conversazioni, ma nulla di quello che racconto è prettamente vero”, mi risponde Negri dalla sua tastiera. Penso allora che mettiamo sempre qualcosa di nostro nei personaggi, anche nel loro modo di parlare, ma mi sembra un pensiero banale e lo tengo per me. Meno banale invece è il suo modo di costruire la storia, quei continui rimandi a cose lontane, il racconto non lineare, i salti di temporali. Gli scrivo che non se ne vedono tanti di fumetti così, soprattutto in questi tempi dove i racconti intimi la fanno da padrone. Attendo qualche minuto e mi arriva la risposta: “Mi piacciono le storie che si aprono a ventaglio, mi danno un senso di libertà”. Mi sembra molto interessante, anche se forse, il ventaglio del suo racconto si sarebbe potuto aprire di più per far esplodere al massimo queste caratteristiche. Questo non glielo scrivo e nella pausa inchiostro dei disegni fatti a matita. Vedo la fude pen scivolare sul foglio portandosi dietro la china e mi viene di chiedergli che materiali usa per disegnare. La risposta è netta e in linea con il suo lavoro. Luca fa tutto al computer, forse è questo il segreto della freddezza dei suoi personaggi. “Abbozzo una sceneggiatura minima, in cui scrivo solo il sunto di quello che succede. Scrivo i dialoghi e costruisco le tavole con ingombri di personaggi e baloon. Infine disegno negli spazi”. Nei messaggi che Luca mi invia, leggo che non ha mai frequentato scuole di disegno, ha imparato a fare fumetti direttamente sul pc e che farli a mano per lui richiederebbe troppo tempo. A mano, però, realizza continuamente schizzi su foglietti e bloc-notes. Ha sempre disegnato.
Battendo sulla tastiera, mi vengono in mente alcune recensioni del libro che ho letto nei giorni scorsi. Tra le rare critiche, la scarsa profondità psicologica dei personaggi, la loro superficialità. Non mi trovo d’accordo. A volte questa necessità di dover scavare a fondo nella psiche dei personaggi mi sembra un assecondare le voglie del lettore, le sue manie. C’è una tavola nel libro in cui si vede il giovane protagonista in braccio a una donna, una pagina molto poetica, una pausa alla velocità frenetica della storia. Un piccolo testo espone i pensieri della donna che raccontano alcuni avvenimenti della sua vita. Quella sola e semplice pagina mi dice tantissimo del personaggio, forse più di pagine e pagine di polpettoni intimistici.
Ecco, forse è proprio questa la forza del libro di Negri, la sua capacità di essere diretto e sintetico. Una forza capace di scardinare un tempo in cui milioni di pensieri, parole e opinioni si affollano sui media, miriadi di immagini ci inondano dagli schermi in ogni momento della giornata. La sua abilità nell’operare in sottrazione sembra quasi un invito a farci da parte in silenzio e può essere, forse, l’unico modo per affrontare questi tempi bui. (diego miedo)
Mi piace il tuo stile di scrittura. Buon lavoro!