Il sole precoce di primavera scaldava le strade di Barriera di Milano, il quartiere oltre la Dora. In un piccolo slargo di Corso Palermo tre uomini sedevano su una panchina, silenziosi stringevano una bottiglia di birra tra le gambe. Due bambini – forse fratello e sorella – erano scesi in strada con un pallone. Parlavano una lingua ibrida: «No! Così è troppo vicino! With legs, with legs. Shoot!». Un uomo è uscito dal portone e la bambina ha urlato: «Questa è casa mia!»; lui ha risposto sorridendo. «È casa mia». Lei ha insistito: «No, mia!». Sul muro di fronte ho notato un ampio dipinto, una veduta dall’alto di una città con palazzi costruiti di recente, strade sinuose, alberi e animali tra i prati. Un abitante – di età e genere sessuale indefiniti – è alto come due palazzi, indossa una cuffia e gli occhialini. S’appresta a tuffarsi nel bacino d’acqua che s’apre nel cuore della metropoli. A margine appariva una firma: Millo. Tre chiazze rosse interrompevano l’armonia del disegno, qualcuno aveva lanciato bombe di vernice.
Nel 2014 Urban Barriera ha promosso “Arte in Barriera”, un bando per disegnatori, architetti e grafici finanziato dall’Unione Europea e dalle istituzioni territoriali. Ogni candidato doveva presentare un progetto artistico da realizzare su tredici facciate cieche del quartiere. Il bando prometteva diecimila euro di premio al vincitore e trentamila euro di budget per i materiali e la mano d’opera. Urban Barriera è un programma di sviluppo che raccoglie fondi da enti pubblici e privati per incentivare la “riqualificazione” di Barriera di Milano. Il bando è stato indetto dalla Fondazione Contrada, un’associazione nata per “valorizzare il territorio torinese”. Nel suo consiglio direttivo siedono due assessori delle ultime giunte cittadine e un rappresentante della Compagnia di San Paolo. Due giurie – una di esperti, l’altra territoriale – hanno giudicato i “concept” degli artisti e Millo ha ottenuto la maggioranza dei consensi.
Sul muro della scuola per l’infanzia di via Scarlatti il gigante è sdraiato tra palazzi e alberi stilizzati. Nel cielo volano sette mongolfiere, le tozze gallerie lungo le strade ricordano gli scenari dei giochi. Il paesaggio urbano invita l’occhio a inseguire i particolari, a lasciarsi affascinare da minute sorprese nascoste. Sotto il dipinto campeggia un cartellone elettorale. Il mezzo busto di un candidato serio e ben rasato promette: «Più sicurezza, più sviluppo. Sgombereremo i campi rom».
Ogni disegno di città crea un ordine mentale, un’idea dello spazio. Su una parete di via Ternengo un’abitante è accovacciata e porta le mani ai capelli. Dal capo si sprigionano intricati snodi stradali, nuovi palazzi, gallerie d’una sostanza gelatinosa. Sembra un universo urbano sospeso nel pensiero. Aeroplani bombati sorvolano il vuoto bianco, un enorme pallone a forma di ape ronza sopra i manifesti pubblicitari appesi tra le vie. Ho distolto lo sguardo dall’opera e poco più in là ho notato un ampio cartellone. Era una pubblicità Lavazza: “There is more to taste”. Un mago esce da uno scrigno fra fumo e fiamme e tiene tra le dita una tazzina di caffè. L’immagine occupa la parete della sede storica di Lavazza. Presto l’azienda si sposterà di pochi isolati, nel nuovo centro direzionale di via Bologna: La nuvola. Da mesi le gru sovrastano un’area di ventimila metri quadri, là dove sorgeva la vecchia centrale Enel. Il comune ha deliberato che la sede dismessa in via Ternengo sarà trasformata in area residenziale.
Quella mattina non vagavo solitario tra le pitture murali di Millo. Eravamo in venti, forse trenta, e in un attimo ci siamo riconosciuti: studenti universitari, lavoratori a contratto, giovani alla ricerca d’un destino; portavamo borse a tracolla e avevamo una bici con noi. La visita era organizzata da StessoPiano, un progetto del programma di housing sociale della Compagnia di San Paolo. StessoPiano favorisce la coabitazione giovanile e facilita le relazioni tra gli affittuari in cerca di casa e i proprietari di appartamenti. Il progetto è controllato dalla cooperativa DOC, la stessa che gestisce una residenza temporanea finanziata dalla Cassa di Risparmio di Torino. Noi eravamo i residenti potenziali di un quartiere in trasformazione, condotti alla scoperta delle sue attrazioni. L’opera d’arte conserva una promessa di bellezza, un richiamo che invita a godere d’una apparenza; in Barriera di Milano l’aura si trasforma magicamente in valore immobiliare.
Millo ha intitolato il suo lavoro Habitat. Il suo rosario di immagini suggerisce diverse strategie per abitare la città: i personaggi dormono distesi lungo interi isolati, costruiscono grattacieli con mattoncini colorati, compiono esercizi acrobatici sospesi sugli edifici. Mentre le fondazioni e gli investitori privati tentano di governare la “rigenerazione” dei quartieri, le istituzioni sostengono iniziative artistiche e culturali che danno un senso allo sviluppo urbanistico, e lo giustificano. Davanti ai giganti di Barriera di Milano ho colto il punto d’incontro tra gli interventi pubblici e gli interessi privati, irrelati come il retto e il verso di un foglio. Foto dei disegni di Millo hanno arricchito la campagna elettorale di Fassino, candidato sindaco.
Su un palazzo privato di piazza Bottesini ci sono due abitanti con la testa adagiata su un cuscino. Tra le pieghe della coperta prende vita la metropoli dai palazzi senza pecche, soffici nuvole si librano in cielo e una mongolfiera ha appena sfiorato la guancia dei giganti. La città è un sogno liberato dai conflitti. Mi sono voltato verso il parco della piazza. Là si trovava una panchina dipinta di rosso con un volto femminile disegnato sulla spalliera. Un artista, grazie al sostegno e alle concessioni delle istituzioni, ha dipinto alcune panchine di Torino per diffondere un messaggio contro la violenza sulle donne. Una notte di fine settimana qualcuno ha divelto una lastra di cemento da un’aiuola vicina e ha sfasciato l’opera d’arte. Il giorno dopo amministratori e funzionari del Pd hanno raggiunto il parco protetti dai loro cappotti e hanno disposto cerini sulla panchina offesa. Ai giornali hanno rilasciato dichiarazioni contro i “vandali” e gli “incivili”.
Intorno a piazza Bottesini abitano ancora gli uomini che decenni fa giunsero per lavorare in fabbrica, e i loro figli. Un’amica ha incontrato un uomo dai capelli bianchi, corti; la sua voce tratteneva un accento del sud. «Qui hanno rimesso a posto, vedi? Ci sono case ben tenute e i prezzi sono saliti. Non è più come qualche tempo fa, la zona brutta si è spostata». Poi ci ha detto che questo è il momento giusto per acquistare un appartamento perché molte case sono ancora disabitate. In Barriera ho percepito una frontiera mobile e porosa tra i migranti dell’era industriale e i nuovi venuti dall’Africa, origine d’una tensione in stato di dormiveglia.
Sulla facciata dell’istituto professionale di Corso Novara l’abitante siede nudo in mezzo alla città e costruisce un uccello di carta. L’impalcatura dell’edificio a fianco copre parte del disegno. Dall’altro lato della strada riposa in silenzio il complesso della Ex-Nebiolo, una fonderia attiva nella prima metà del Novecento. È stata dismessa all’inizio degli anni Settanta, oggi appartiene alla agenzia territoriale pubblica di Torino. Ho percorso il perimetro dello stabilimento, su un pannello ho letto che i lavori di ristrutturazione sono iniziati nell’agosto 2005 e avrebbero dovuto finire nel maggio 2006. Le pareti scrostate e le auto parcheggiate sotto i piloni silenti testimoniavano il fallimento dei propositi. Uno slogan affiancava le informazioni sui lavori: “Torino always on the move”. Il movimento della città, ho pensato, è solo un effetto di superficie emanato dai segni diffusi tra le vie, sui giornali, nelle dichiarazioni ufficiali. Eppure il comune ha emanato di recente una delibera: l’area sarà affidata in concessione all’investitore che presenterà il miglior progetto di conversione. La vecchia fonderia diventerà una residenza universitaria privata. Ho osservato con più attenzione: tra i vetri rotti dello stabile si distingueva un appartamento nuovo e colorato, dimora di un gruppo di giovani architetti. Un primo esperimento abitativo, premonizione dell’avvenire. Forse non esiste un’opposizione netta tra progresso e stasi, tra avanti e indietro; nel cortile della Ex-Nebiolo la forma del tempo ha assunto l’aspetto frammentario di un mosaico: l’espansione edilizia, le sacche di stasi, le accelerazioni progressive e le contrazioni si accostano in una immagine pregna di tensioni. Sul vecchio pannello scolorito dalla pioggia era anche scritto: “Torino non si ferma mai”. (francesco migliaccio)
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